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 Le ha ammazzate?  e lo scroll.
 Lascialo stare,  dissi a Nuto,  mezzo morto. Per-
ch non andiamo a vedere?
Allora Cinto si butt sulle mie gambe e non voleva sa-
perne.
 Sta su,  gli dissi,  chi venivi a cercare?
Veniva da me, non voleva tornare nella vigna. Era
corso a chiamare il Morone e quelli del Piola, li aveva
svegliati tutti, altri correvano gi dalla collina, aveva gri-
dato che spegnessero il fuoco, ma nella vigna non voleva
tornare, aveva perduto il coltello.
 Noi non andiamo nella vigna,  gli dissi.  Ci fer-
miamo sulla strada, e Nuto va su lui. Perch hai paura?
Se vero che sono corsi dalle cascine, a quest ora tutto
spento...
C incamminammo tenendolo per mano. La collina di
Gaminella non si vede dalla lea, nascosta da uno spe-
rone. Ma appena si lascia la strada maestra e si scantona
sul versante che strapiomba nel Belbo, un incendio si
dovrebbe vederlo tra le piante. Non vedemmo nulla, se
non la nebbia della luna.
Nuto, senza parlare, diede uno strattone al braccio di
Cinto, che incespic. Andammo avanti, quasi correndo.
Sotto le canne si cap che qualcosa era successo. Di lass
si sentiva vociare e dar dei colpi come abbattessero un
albero, e nel fresco della notte una nuvola di fumo puz-
zolente scendeva sulla strada.
Cinto non fece resistenza, venne su affrettando il pas-
so col nostro, stringendomi pi forte le dita. Gente an-
Letteratura italiana Einaudi 118
Cesare Pavese - La luna e i fal
dava e veniva e si parlava, lass al fico. Gi dal sentiero,
nella luce della luna, vidi il vuoto dov era stato il fienile
e la stalla, e i muri bucati del casotto. Riflessi rossi mori-
vano a piede del muro, sprigionando una fumata nera.
C era un puzzo di lana, carne e letame bruciato che
prendeva alla gola. Mi scapp un coniglio tra i piedi.
Nuto, fermo al livello dell aia, storse la faccia e si
port i pugni sulle tempie.  Quest odore,  borbott, 
quest odore.
L incendio era ormai finito, tutti i vicini erano corsi a
dar mano; c era stato un momento, dicevano, che la
fiamma rischiarava anche la riva e se ne vedevano i ri-
flessi nell acqua di Belbo. Niente s era salvato, nemme-
no il letame l dietro.
Qualcuno corse a chiamare il maresciallo; mandarono
una donna a prendere da bere al Morone; facemmo bere
un po di vino a Cinto. Lui chiedeva dov era il cane, se
era bruciato anche lui. Tutti dicevano la loro; sedemmo
Cinto nel prato e raccont a bocconi la storia.
Lui non sapeva, era sceso a Belbo. Poi aveva sentito
che il cane abbaiava, che suo padre attaccava il manzo.
Era venuta la madama della Villa con suo figlio, a divi-
dere i fagioli e le patate. La madama aveva detto che due
solchi di patate eran gi stati cavati, che bisognava risar-
cirla, e la Rosina aveva gridato, il Valino bestemmiava, la
madama era entrata in casa per far parlare anche la non-
na, mentre il figlio sorvegliava i cesti. Poi avevano pesa-
to le patate e i fagioli, s erano messi d accordo guardan-
dosi di brutto. Avevano caricato sul carretto e il Valino
era andato in paese.
Ma poi la sera quand era tornato era nero. S era mes-
so a gridare con Rosina, con la nonna, perch non ave-
vano raccolto prima i fagioli verdi. Diceva che adesso la
madama mangiava i fagioli che sarebbero toccati a loro.
La vecchia piangeva sul saccone.
Lui Cinto stava sulla porta, pronto a scappare. Allora
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Cesare Pavese - La luna e i fal
il Valino s era tolta la cinghia e aveva cominciato a fru-
stare Rosina. Sembrava che battesse il grano. Rosina
s era buttata contro la tavola e urlava, si teneva le mani
sul collo. Poi aveva fatto un grido pi forte, era caduta
la bottiglia, e Rosina tirandosi i capelli s era buttata sulla
nonna e l abbracciava. Allora il Valino le aveva dato dei
calci  si sentivano i colpi  dei calci nelle costole, la pe-
stava con le scarpe, Rosina era caduta per terra, e il Vali-
no le aveva ancora dato dei calci nella faccia e nello sto-
maco.
Rosina era morta, disse Cinto, era morta e perdeva
sangue dalla bocca.  Trati su,  diceva il padre,  mat-
ta  . Ma Rosina era morta, e anche la vecchia adesso sta-
va zitta.
Allora il Valino aveva cercato lui  e lui via. Dalla vi-
gna non si sentiva pi nessuno, se non il cane che tirava
il filo e correva su e gi.
Dopo un poco il Valino s era messo a chiamare Cinto.
Cinto dice che si capiva dalla voce che non era per bat-
terlo, che lo chiamava soltanto. Allora aveva aperto il
coltello e si era fatto nel cortile. Il padre sulla porta
aspettava, tutto nero. Quando l aveva visto col coltello,
aveva detto Carogna e cercato di acchiapparlo. Cinto
era di nuovo scappato.
Poi aveva sentito che il padre dava calci dappertutto,
che bestemmiava e ce l aveva col prete. Poi aveva visto
la fiamma.
Il padre tra uscito fuori con la lampada in mano, sen-
za vetro. Era corso tutt intorno alla casa. Aveva dato
fuoco anche al fienile, alla paglia, aveva sbattuto la lam-
pada contro la finestra. La stanza dove s erano picchiati
era gi piena di fuoco. Le donne non uscivano, gli pare-
va di sentir piangere e chiamare.
Adesso tutto il casotto bruciava e Cinto non poteva
scendere nel prato perch il padre l avrebbe visto come
di giorno. Il cane diventava matto, abbaiava e strappava
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Cesare Pavese - La luna e i fal
il filo. I conigli scappavano. Il manzo bruciava anche lui
nella stalla.
Il Valino era corso nella vigna, cercando lui, con una
corda in mano. Cinto, sempre stringendo il coltello, era
scappato nella riva. L c era stato, nascosto, e vedeva in
alto contro le foglie il riflesso del fuoco.
Anche di l si sentiva il rumore della fiamma come un
forno. Il cane ululava sempre. Anche nella riva era chia-
ro come di giorno. Quando Cinto non aveva pi sentito
n il cane n altro, gli pareva di essersi svegliato in quel
momento, non si ricordava che cosa facesse nella riva.
Allora piano piano era salito verso il noce, stringendo il
coltello aperto, attento ai rumori e ai riflessi del fuoco. E
sotto la volta del noce aveva visto nel riverbero pendere
i piedi di suo padre, e la scaletta per terra.
Dovette ripetere tutta questa storia al maresciallo e gli
fecero vedere il padre morto disteso sotto un sacco, se lo
riconosceva. Fecero un mucchio delle cose ritrovate sul
prato  la falce, una carriola, la scaletta, la museruola del
manzo e un crivello. Cinto cercava il suo coltello, lo
chiedeva a tutti e tossiva nel puzzo di fumo e di carne.
Gli dicevano che l avrebbe trovato, che anche i ferri del-
le zappe e delle vanghe, quando la brace fosse spenta, si
sarebbero potuti riprendere. Noi portammo Cinto al
Morone, era quasi mattino; gli altri dovevano cercare
nella cenere quel che restava delle donne.
Nel cortile del Morone nessuno dormiva. Era aperto
e acceso in cucina, le donne ci offrirono da bere; gli uo-
mini si sedettero a colazione. Faceva fresco, quasi fred-
do. Io ero stufo di discussioni e di parole. Tutti diceva-
no le medesime cose. Restai con Nuto a passeggiare nel
cortile, sotto le ultime stelle, e vedevamo di lass
nell aria fredda, quasi viola, i boschi d albere nella pia-
na, il luccicho dell acqua. Me l ero dimenticato che l al-
ba cos.
Nuto passeggiava aggobbito, con gli occhi a terra. Gli
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Cesare Pavese - La luna e i fal
dissi subito che a Cinto dovevamo pensar noi, che tanto
valeva l avessimo fatto gi prima. Lui lev gli occhi gon-
fi e mi guard  mi parve mezzo insonnolito.
Il giorno dopo ci fu da farsi brutto sangue. Sentii dire
in paese che la madama era furente per la sua propriet, [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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