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giardino, o meglio fra palazzi altissimi un prato verde e molle sul quale giac-
ciono piccole statue; m'innamoro di un piccolo volto di marmo che sporge fra
l'erba, con la treccia, i tratti capricciosi per l'insù. Più in là un cervo di marmo
snellissimo, che si leva nella corsa quasi volando. Quest'atmosfera di grazia
mi fa sentire che sono a Firenze, quantunque io pensi che questo che si vede è
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Elsa Morante - Diario 1938
il parco di Schönbrunn.
E poi stanotte scrivevo delle canzoni dolcissime, musica e parole.
Morte di un bambino.
Stava in una culla piuttosto simile ad una tinozza. Era molto amato, a
un tratto è morto. All'ora dei funerali, una contegnosa signora entra in una
sala con un tavolino, e molte sedie in fila, come per uno spettacolo. Essa reca
un fagotto (c'è il bambino). «Lo compongono qui, davanti a tutti?». Vedo in-
fatti che la signora contegnosa (alta ed anziana, magra, capelli bianchi, abito
nero adorno di merletti) ha deposto il fagotto sulla tavola, e comincia a toglie-
re le pezze. Con un grido di orrore e di paura volto la testa, ché io pure sono
in una di queste sedie, fra gli spettatori. Con raccapriccio immagino il cada-
verino già disfatto, quel misto di tenerezza infantile, di ingenuità e di ripu-
gnante morte. Piano piano risollevo la testa, e vedo allora la creaturina seduta
con la testa in giù e palleggiata dalla signora. Non è ancora disfatto, è ancor
tutto grassottello, tenero. Ma qualche cosa nella carne bianca, di corrotto c'è
(la gente intorno dice che fa cattivo odore). Pure, com'è ancora caro, e grazio-
so! E pensare che è una cosa. Dov'è lui? Ora lo devono pettinare, devono fargli
il bagno.
Per quanto pensi, non riesco a ricordare se era mio, quel bambino. Che
fosse il mio, il figlio di WILLY COPPENS?
Ieri avevo fatto una passeggiata così bella, sebbene piena di paure come
un incubo al pensiero della solitudine e dei debiti incalzanti e della miseria e
della partenza di A. Ma quei laghi, e i cigni, e le facciate sorrette da colonne
marmo-ree, in cima alle alte scalinate! E quelle ville dai recinti fioriti, gli albe-
ri di primavera! E invece tutti sogni di morte.
Signore, fa' che io abbia dei denari, e faccia un bel viaggio di primavera.
Rileggo in questi giorni i Promessi Sposi. Che atmosfera misteriosamen-
te gentile e solenne, che aria pura, che compagnia veramente aristocratica
quella dei capolavori! Si sente veramente la razza, il dono indicibile in ogni
pagina in ogni parola. Da dove viene? In che cielo si trova? Attraverso che
dolori, che gioie si può raggiungere? Felice chi lo ha avuto.
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Roma 17 Marzo 1938
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Elsa Morante - Diario 1938
Ho la sensazione di aver sognato una fila dì gente che fa il gioco del te-
lefono. Il primo dice un discorso a bassa voce al secondo e così via via. E
quando si arriva alla fine, il discorso è tutt'altro - e non ci si capisce più nien-
te.
Roma 19 Marzo 1938
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Roma 21 Marzo 1938
Stanotte ho sognato Sandro S. che è morto. Stava seduto in questa pol-
trona dove una volta è stato davvero seduto, fino alle cinque di mattina. Ed
era vestito da mare, con un maglione bianco, era forte, con la pelle abbronza-
ta, esuberante e felice come quando doveva partire per la Spagna. Parlava di
sé, della sua vita con un'aria di baldanza, del suo coraggio. «A diciannove
anni - diceva - già avevo un figlio che ne aveva quindici». In quella entra mia
sorella Maria e non vede nessuno nella poltrona, solo me che parlo.
E un po' inorridita, lo si vede: - Parlo con S., - spiego,
- Ma, - dice, - è morto. - (Certo, lei non lo vede, - penso) Viene anche
mia madre: - Parlo con S. che è morto, - le spiego. E chiaro che mia madre
non vede nessuno, anzi, con orrore, mi crede impazzita, ma per assecondarmi
tende una mano a carezzare S. - Poverino, poverino, - dice.
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Roma 26 Marzo
Madonna, dammi un po' di pace.
Roma 27 Marzo 1938
Stanotte ho sognato una Maria Piccola S., tutta speciale, con quella sua
pelle bruna e dolce, un carattere fresco, simile a una viola. Eravamo in un caf-
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Elsa Morante - Diario 1938
fè, via di mezzo fra Aragno e un tabarin. Ella aveva il suo solito cappottino
marrone, un po' frusto, il suo cappelletto. Io il cappello di paglia bianco, l'abi-
to nero. Eravamo sedute in un angolo, notte tarda. Un cameriere si avvicina,
parla piano a Maria: Mille lire le si offrono, - dice, - se si maschera e balla -.
Ella accetta e se ne va. Rimango sola. «Ecco, - penso, - queste offerte toccano a
Maria, io sono oramai vecchia, non piaccio più, non mi notano neppure».
Non vedo il ballo di Maria, ma la immagino, così fresca come una viola, con
qualche cosa, non so, di campestre, d'innocente, in un costume che abbia dei
colori viola, rosa. Più tardi, con quelle mille lire, possiamo andare a far visita
a Cap., ché, finalmente, possiamo portare dei regali. Maria ha un enorme ce-
sto, pieno di frutti adagiati ciascuno in una nicchia, un cesto piatto, lungo
quasi due metri, io ho un cartoccio. Arriviamo alla villa, graziosa, signorile, in
mezzo a una campagna, ma un'infermiera si affaccia e dice che non c'è nessu-
no. Che ne faremo di tutta questa frutta?
Roma, 31 Marzo
Anche questa volta Tu mi hai aiutato.
Roma, 5 Aprile 1938
Davvero è tutto finito con A.? E partito non so precisamente per dove,
è forse uno scherzo, un incubo. Sono malata, durante la sua malattia facevo
sogni orribili, che doveva partire, né io potevo seguirlo, che era malato («Ma-
lato ai polmoni, questa è la verità» mi confessava misteriosamente suo fratel-
lo, che incontravo in istrada). Salivo parlandone con suo fratello, un peso in-
dicibile mi soffocava dentro, vedevo con una tenerezza, un amore senza limiti
quel caro viso pallido, che si disfaceva da lontano. E io non potevo toccarlo,
non potevo aiutarlo. Né lui sorrideva un poco al mio amore, così lontano, in-
differente com'era. Che poteva importargliene del mio amore? Tutto il mio
corpo gridava, mio caro fanciullo, amore mio, non potrò mai dimenticare
quella strada sognata, in salita, e quell'altra sala grande in cui suo padre, sua
madre e le sorelle si muovevano in una luce acciecante, e in gran segreto mi
dicevano: Non è calcolosi renale. E t... - e io mi sentivo bruciare, cadere come
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Elsa Morante - Diario 1938
incenerita.
Nella realtà è guarito, è venuto e ha detto: Da un anno siamo amanti e
non abbiamo avuto l'uno dall'altro che dolori. E meglio finire. Non pensare
più a me. Io parto e tu non devi venire con me. - Io gli ho detto: Allora va via
subito. - E lui ha preso il cappotto ed è uscito davvero. Credevo che non lo fa-
cesse davvero, come le altre volte. Invece, se non lo avessi richiamato io, se ne
sarebbe andato.
E venuto altre volte, poi è partito. Per tre giorni non ho cessato di tre-
mare. Non può esser vero. L'aspetto. Torna presto, Alberto. Maria, Tu dei mi-
racoli, fallo tornare presto da me.
Roma 22 Aprile 1938
Era tutta una storia. A. non voleva affatto finirla. Ma ora sono io che
voglio finirla.
Fatto strano e misterioso, sognare così spesso delle cattedrali. Grandi
cattedrali, e grandi piazze simili a quella di Pisa, con Chiese e Battisteri, ma
grandi all'infinito, verdi di prato, e sopra vi sorgono Santa Maria del Fiore,
San Giovanni e altre chiese fiorentine, all'infinito. Nel sogno architettura e
musica si confondono.
E una strana città, Roma o Venezia? Si sale per gradinate strette ma so- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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